Recensione curata da Sara Dal Monico, Università Ca’ Foscari Venezia

 

Il diario di Mamma Teresa è un racconto intimo, ma allo stesso tempo una importante testimonianza storica da condividere. È la storia di una madre e delle distanze – fisiche e non solo – che ella è disposta a percorrere per amore del proprio figlio, morto come internato in Germania durante la Seconda guerra mondiale. Silvia Pascale, storica e docente, riporta alla luce il diario di “Mamma Teresa”, citata con il nome con cui era conosciuta, una sua parente acquisita. Il diario è rimasto per anni nel cassetto, dimenticato dai famigliari, benché nella zona dove la donna risiedeva tutti ricordano ancora oggi, più o meno direttamente, chi fosse “Mamma” o “Nonna” Teresa. Il tema che viene affrontato è quello della condizione e del destino degli Internati Militari Italiani (IMI) dopo l’annuncio dell’armistizio l’8 settembre 1943: un argomento non nuovo all’autrice, ma mai affrontato con un coinvolgimento personale così profondo. La sua importanza in termini di memoria è cruciale: si tratta infatti dell’unico diario scritto da una donna che sia stato ritrovato in Italia sul tema degli IMI.

Il volume è diviso in tre sezioni: la prima, scritta da Silvia Pascale, racconta del ritrovamento del diario e dei dubbi e delle incertezze che hanno accompagnato l’autrice fino al momento della pubblicazione. L’autrice era infatti incerta sul se fosse opportuno pubblicare, e soprattutto come, una storia a lei così vicina e autentica. Un percorso interiore profondo di analisi personale e riscoperta di dolori passati, di amore e compassione introduce la parte che segue, in cui ci si addentra in quello che è il diario vero e proprio. La seconda parte, quella centrale, è il diario di Teresa come ella lo aveva inteso, scritto solo in una prima versione di suo pugno, successivamente trascritto dall’amica fedele Antonietta Rolla, sotto attenta dettatura. Teresa temeva infatti che la propria mancanza di istruzione (si era fermata solo alla terza classe, come la chiama lei) potesse in qualche modo inficiare la validità ed autenticità del racconto. La terza ed ultima parte, l’appendice storica, riporta documenti e fotografie a testimonianza della genuinità del racconto di Teresa.

Questa storia, che racconta con una prospettiva assolutamente inedita le sofferenze e il trattamento disumano subito dagli IMI durante il secondo conflitto mondiale, non solo racconta le distanze che una madre è disposta a percorrere per il proprio figlio. È un profondo messaggio di solidarietà e perdono. È una storia che racconta la forza di una donna che, da sola, nonostante l’età, le barriere linguistiche, le distanze e la scarsa istruzione riesce ad attraversare intere città pur di raggiungere e ritrovare il proprio figlio morto. Teresa ci trasmette un profondo: la compassione, nella sua accezione più positiva, verso gli altri, verso anche coloro che dovremmo disprezzare perché hanno causato grandi sofferenze. Agli IMI, infatti, cui fu negato dal nazismo lo status di prigionieri di guerra, non fu mai garantito alcun risarcimento per le violazioni subite durante il periodo dell’internamento. Teresa, grazie alle sue esperienze in Germania, e agli incontri con queste persone che a loro volta, motivati da una profonda compassione, la aiutano e la guidano nella sua ricerca, ci insegna che perdonare è facile se si è umili e spinti da amore verso il prossimo. La sua caparbietà e, talvolta, l’incaponimento nel raggiungere quanto desidera, passano in secondo piano di fronte a tanta compassione e pietà, lasciando lettori e lettrici con un senso di rinnovata speranza.