Descrizione
Pietro mio è l’espressione familiare che il fantasma di Chiara Fancelli utilizza per riferirsi al celebre pittore Pietro Perugino, suo consorte, nel raccontarne la lunga storia. Il romanzo prende avvio nel 1504, all’apice apparente del successo maturo di Pietro Vannucci, quando già si delinea all’orizzonte il nuovo che avanza. In quello stesso anno infatti Raffaello, poco più che ventenne, spopola minacciando il primato del maestro. Nell’incipit sono due manoscritti rivelatori, le lettere di contrattazione per la realizzazione della grande Adorazione dei Magi ad affresco di Città della Pieve (come le altre citazioni tratte da fonti reali).
Seguiamo così Pietro nel suo viaggio per andare a dipingere accompagnato dal vetturino Menco. Lo vediamo incontrare vari personaggi, soffrire di insonnia e incubi, subire un furto, ricordare il suo apprendistato e la folgorante carriera all’ombra dei potenti mecenati, infine morire di peste nel 1523. Sul cammino dell’artista si incrociano microstorie che riecheggiano la grande storia: l’età dei Medici, di Savonarola, dei Borgia, di Giulio II e di Michelangelo, della nascita della stampa e del genio di Leonardo suo collega e coetaneo al tempo dell’apprendistato. Il punto di vista è quello della voce narrante, Chiara, di cui storicamente si sa poco, ma abbastanza per farla emergere dal cono d’ombra che ha oscurato per secoli il mondo femminile. Esistono centottanta lettere del carteggio tra Luca Fancelli, padre di lei e architetto albertiano, inviate ai suoi mecenati mantovani. Nel romanzo però la musa classica si è trasformata in una donna fantasma che narra con cognizione postmoderna che si sdoppia assumendo sia la sensibilità dell’epoca in cui è vissuta, prima con Pietro poi in vedovanza, sia quella del ventunesimo secolo. Moglie e marito hanno ciascuno una propria ossessione che li tormenta. È lei a raccontarle entrambe fino alla misteriosa sorte toccata alle ossa del consorte sepolte in campo anonimo per un sospetto di eresia.
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